Sabato 7 aprile alle 18 sarà inaugurata a Ca’ dei Ricchi a Treviso la mostra Hyper-faded Ordinary Life, curata da Carlo Sala e promossa da Treviso Ricerca Arte. Il progetto propone il lavoro di due autori contemporanei, Lucia Cristiani e Simone Monsi, che nella loro pratica artistica riflettono su una serie di temi emblematici della contemporaneità. Il titolo dell’esposizione allude infatti alla condizione tipica delle giovani generazioni che si vivono in un forte divario tra la performatività e iper-attività sperimentata negli avatar virtuali (o nelle situazioni lavorative) e la normalità sbiadita e apatica che caratterizza invece la dimensione reale della loro quotidianità.
Ad aprire la mostra la serie di stampe I-VII (2015) di Lucia Cristiani (Milano, 1991) che sono una meditazione sul ruolo stesso dell’artista e sul pericolo di mettere in primo piano l’affermazione di sé nel sistema rispetto alla profondità della ricerca. Per questo l’autrice si è appropriata delle forme di alcuni adesivi di caschi di grandi piloti di Moto GP e Formula 1 – metafore dell’atleta costretto a correre sempre più velocemente – e li ha modificati e decontestualizzanti rendendoli della semplici astrazioni, eliminando così il loro aspetto funzionale e la loro identificazione immediata.
La seconda parte dell’intervento della Cristiani è incentrata sul fenomeno del Normcore che investe le generazioni più giovani che si trovano in uno stato di solitudine collettiva e inadeguatezza permanente, a cui rispondono con un appiattimento del sé. Le sculture oggettuali dell’artista come Holy Water (2016), THE GRACE OF MAYBE (2016) o desiderio@tel.net.ba (2017) incarnano proprio l’aspirazione a questa neutralità estetica e di opinione, assunte nella convinzione di poter rendere più semplici e fluidi i rapporti personali e che accentua invece il disagio interiore, inibendo ogni legame autentico. Sembra invece ribaltare questo schema comportamentale il lavoro Puoi immaginare (LOST in a declaration for you) (2017), che riporta una scritta in lingua bosniaca, Mozes Zamisliti, che è un intercalare utilizzato durante i racconti orali per coinvolgere chi ascolta una storia, così da renderlo partecipe attraverso l’immaginazione. Le parole hanno come sfondo un frame della nota serie televisiva americana LOST, dove il fumo nero provoca allucinazioni che riportano ad una nuova coscienza, ad una nuova realtà possibile.
Le installazioni e stampe di Simone Monsi (Fiorenzuola d’Arda, 1988) partono dall’indagine sulle forme di rappresentazione tipiche delle piattaforme social della rete. Il lavoro Your Fan Club Can’t Save You (2017) sin dal titolo fa capire come alcune dinamiche virtuali, basate sulla popolarità, siano vacue e non possano incidere nella vita reale. Le forme antropomorfe della scultura da un lato richiamano le mani (ossia lo strumento per connettersi agli altri tramite i sistemi touch), dall’altro una bandiera stropicciata (elemento generalmente carico di valori identitari) ora ridotta a mocio per pulire il pavimento, ma che può assumere un significato positivo come strumento che metaforicamente cancella le tracce della persona. L’installazione, CAPITOLO FINALE (2016), ha una forma totemica che la rende un monumento, al contempo ironico ed inquietante, tra cultura pop ed echi distopici, che celebra le mani al servizio (o forse in schiavitù) dello strumento informatico; se ad un primo sguardo le fattezze dell’opera possono apparire ludiche, dietro ad esse si cela una riflessione sui rapporti umani e sulla vacuità dell’esperienza mediata. Il lavoro è ricoperto da una serie di stampe digitali di immagini trovate su internet con l’hashtag #sunsetporn, creando così una miscellanea visiva ipersatura e kitsch che oscilla tra romanticismo patetico e grottesco, tra superficialità e malinconia, tra quotidiano e perturbante.
Infine i lavori intitolati Alone Is The New Together (2014-in corso) estrapolano dal contesto web una serie di frasi riprodotte a xylografia: la matrice di legno, tipica della tecnica, sembra alludere alle scritte stereotipate incise dagli innamorati sugli alberi. Le frasi presenti nelle opere sono sospese tra ironia e senso critico, rivelando una sorta di appiattimento volontario tipico dell’interazione e delle dinamiche relazionali post-social che seguono delle regole precise, portando di fatto all’omologazione.
La mostra sarà visibile fino al 20 maggio 2018; per l’occasione sarà realizzato un catalogo con il testo di Carlo Sala.
Photo credit: t-space studio
INFO MOSTRA
Hyper-faded Ordinary Life
di Lucia Cristiani e Simone Monsi
a cura di Carlo Sala
Inaugurazione sabato 7 aprile, ore 18.00.
8.4 – 20.5.2018
Orari apertura: martedì – sabato 10:00-13:00 / 15.30-19.30;
domenica 15.30-19.30.
Ingresso libero
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